
Roberto racconta la passata esperienza a Montevideo (Uruguay) con IUSVE e USAC
Non sono mai stato un appassionato di quelle frasi del tipo: “La tua vita inizia quando esci dalla tua zona di comfort”. Le trovo un po’ banali e troppo semplicistiche, come se bastasse mettersi uno zaino in spalla e prendere il primo treno che passa in stazione per diventare di colpo delle persone interessanti e, in un certo senso, migliori. Non è così, ma un fondo di verità in queste frasi da Baci Perugina esiste, come ho avuto modo di scoprire in Uruguay.
Quando a marzo 2019 sono stato selezionato per il semestre a Montevideo con USAC, la partenza mi sembrava così lontana che quasi non ci pensavo.
Effettivamente, di mezzo c’erano laboratori, progetti, lezioni ed esami, dici poco! Così, quando è arrivato il momento di fare le valige e salire sull’aereo che mi avrebbe portato prima a Madrid e poi dall’altra parte del mondo, non ero assolutamente preparato. Comunque, la cosa che più mi spaventava in quel momento era senza dubbio il volo intercontinentale: potreste portarmi tutti i report mondiali che dimostrano come l’aereo sia il mezzo di trasporto più sicuro, ma a me quella sensazione di farfalle nello stomaco verrà comunque ad ogni decollo.
Nonostante le mie congetture, il viaggio è andato bene, ed è stata la volta di scoprire l’Uruguay.
Schiacciato tra i giganti Argentina e Brasile, questo Paese non rientra spesso tra le mete dei viaggiatori. È piccolo, solo tre milioni di abitanti, ma in compenso ha 12 milioni di mucche che pascolano nelle pianure interne (#funfact). Fin da subito ho imparato ad apprezzare la tranquillità degli uruguaiani, che potrebbe arrivare la fine del mondo ma loro comunque continuerebbero a camminare rilassati con il mate in mano, una specie di tè.
Ecco, il mate meriterebbe un capitolo a parte: in ostello i primi giorni tutti si sono offerti di insegnarmi i segreti per prepararlo perfettamente, e i piccoli rituali che lo rendono l’elemento su cui si fonda l’orgoglio di essere uruguaiani. Non sto scherzando, almeno la metà delle persone in strada cammina con la thermos sotto al braccio e il mate nella mano. Addirittura, in televisione le tribune politiche vedono ogni candidato arringare il pubblico con la sua fedele calabaza (la zucca essiccata da cui si beve) davanti al microfono.
Passati i primi giorni, in cui ho fatto la vita da turista, ho potuto finalmente conoscere lo staff di USAC e i miei compagni di università, quasi tutti statunitensi. Non potrò mai esprimere a parole la mia gratitudine per aver avuto l’occasione di incontrare persone così speciali, che mi hanno permesso di fare delle esperienze fantastiche e hanno reso il mio semestre qualcosa che porterò sempre con me nel cassetto dei ricordi.
Forse la frase da scatola di cioccolatini non era così lontana dalla realtà: oggi mi sento davvero una persona arricchita sotto molti punti di vista. Ho migliorato il mio spagnolo e il mio inglese perché, alla faccia della credenza che gli italiani stiano in ogni parte del mondo, in cinque mesi non ne ho mai incontrato uno. Ho potuto conoscere la letteratura sudamericana e la storia delle rivoluzioni che ancora oggi caratterizzano questo continente. Ho sostenuto un dibattito sull’aborto interamente in spagnolo. Ho imparato come fare marketing in Uruguay, e quali sono le differenze rispetto all’Europa sotto questo aspetto. Ho contrattato per venti minuti con un venditore al mercato della domenica per comprare una maglietta da calcio usata (dell’Inter, of course). Per la prima volta nella mia vita, ho dovuto cambiare uno pneumatico forato, nel bel mezzo di un bosco. Ho trattenuto il respiro per ammirare al meglio le maestose cascate di Iguazù, e mi sono perso per le caotiche strade di Buenos Aires. Ho imparato a ballare il tango e la bachata senza sembrare legnoso come Pinocchio. O forse per questo sarebbe servito almeno un altro semestre.
Mi mancheranno gli innumerevoli tramonti in Playa Ramirez, ma se chiudo gli occhi mentre sorseggio il mio mate posso ancora essere lì per qualche secondo.
Sto diventando troppo sentimentale forse, ma volevo chiudere questa mia testimonianza con delle parole che mi sono state dette da Jona, un volontario dell’ostello in cui ho passato le prime notti e che poi è diventato uno dei miei migliori amici a Montevideo, nonché tassista personale per l’ultimo viaggio in aeroporto prima di tornare in Italia. Dopo cena, la seconda sera gli avevo confessato di essere un po’ preoccupato per i mesi a venire, e lui mi aveva detto di non preoccuparmi perché “somos la sumatoria de nuestras experiencias”, siamo la somma delle nostre esperienze, che non deve essere tutto facile ma in fondo è questo il bello.
Grazie quindi a IUSVE e ad USAC per avermi dato questa fantastica opportunità, che mi ha fatto capire ancora di più quanto non abbia senso chiuderci in noi stessi e nelle nostre sicurezze, che siamo tutti cittadini del mondo e che dall’incontro con altre persone non possiamo che uscirne arricchiti.
Come si dice dall’altra parte dell’Oceano: VAMO ARRIBA!
Roberto Cialdella
(Agosto-Dicembre 2019)
Tags: viaggio, usac, borsa di studio, iusvearoundtheworld, montevideo