
Federica Gemma racconta la sua esperienza in Uruguay
“What’s meant to be will always find its way”È questa la frase che mi ripetevo da anni, con la speranza che un giorno avrei avuto l’opportunità di trascorrere un periodo di studi all’estero. Mandare la mia candidatura per concorrere alla borsa di studio non è stata affatto una decisione dell’ultimo secondo, al contrario, è stato uno dei momenti universitari più attesi. Il mio percorso liceale linguistico mi aveva dato infatti la consapevolezza degli innumerevoli aspetti positivi che presentava un’esperienza di questo tipo.
Da quando ho saputo che mi era stata data l’opportunità di vivere ciò che mi avrebbe cambiato la vita a quando effettivamente son partita sono passati circa due anni. Così tra lezioni universitarie a distanza, esami online, quarantene, lockdown e una discussione di laurea triennale, ho aspettato impazientemente che il momento tanto atteso arrivasse.
La pandemia da Covid-19 avrebbe potuto però far sfumare il mio sogno fino al giorno prima, perchè per entrare in Uruguay necessitavo di un PCR test negativo. Devo ammettere che non è stata una missione semplice durante l’ondata maggiore che ha vissuto l’Italia e forse è proprio per questo che non ho realizzato fino al giorno prima della partenza ciò che stavo per vivere.
Il 22 Gennaio 2022, dopo 17 ore effettive di viaggio, di cui 13 ore di volo diretto da Madrid a Montevideo, pasti riscaldati a orari improponibili e aerei mezzi vuoti, mi son ritrovata nell’altro emisfero, nel bel mezzo dell’estate di questo paisito, tanto grande quanto poco popolato.
L’Uruguay è incastonato tra i grandi Brasile e Argentina e veramente poco spesso se ne sente parlare come meta turistica. Anzi, se vogliamo dirla tutta, l’Uruguay non è nemmeno tra i Paesi più conosciuti, tanto che spesso viene confuso con il Paraguay. In realtà ha molto da offrire, soprattutto agli amanti della natura come me; infatti se volessimo descrivere l’Uruguay in poche parole potremmo dire che: è ricoperto da immense distese erbose punteggiate da mucche al pascolo; tratteggiato da larghe e chilometriche spiagge deserte che si inabissano tra le onde dell’oceano Atlantico, oltre ad essere avvolto da un cielo azzurro intenso sempre costellato da palme di qualsiasi tipo e dimensione.
Appena arrivata ho avuto bisogno di qualche settimana di adattamento, necessaria per superare l'impatto non solo con la cultura uruguaiana, ma anche con quella americana dei miei compagni USAC e con quella messicana della mia amica più cara del gruppo. Il mio semestre all’estero è poi trascorso anche troppo rapidamente: seguendo lezioni di business e management presso l’Universidad ORT nel quartiere di Pocitos; migliorando il mio spagnolo e imparando la variante rioplatense (sempre ascoltata nelle telenovelas argentine); mangiando felicemente chivitos, tortas fritas per strada o churros in Parque Rodó; vivendo a 200 metri dal mare, nonché il mio posto preferito in assoluto; bevendo mate lungo la Rambla contemplando l’atardecer; ascoltando musica tanguera e reggaeton. Per la prima volta nella mia vita sono andata anche a vedere una partita di calcio allo stadio (e non uno stadio qualunque ma il Centenario, dove si son svolti i primi mondiali di calcio nel 1930) e in occasione della Giornata della Terra ho partecipato come volontaria a un clean-up in una delle spiaggette che bagnano Montevideo.
Ho avuto la fortuna di esplorare anche fuori da Montevideo: ho camminato lungo le vie ciottolate di Colonia del Sacramento, dove lo stile spagnolo, portoghese e coloniale si fondono; ho ammirato il Rio de La Plata e l'Oceano Atlantico unirsi a Punta del Este; ho potuto scoprire con un roadtrip di 5 giorni tutta la costa oceanica dell’Uruguay fino al Brasile, tra villaggi di pescatori e colonie di leoni marini; mentre durante la settimana dello Spring Break ho visitato l’immensa Buenos Aires.
Credo però che ciò che mi mancherà di più di tutto questo sarà quella sensazione di essere costantemente circondata da persone di altri Paesi, con le quali si condivide una reciproca curiosità nello scoprire l’altro e la sua cultura.
Nonostante sia piuttosto fiduciosa che in futuro possa avere altre occasioni in cui provare nuovamente questa sensazione, per adesso non posso che ringraziare IUSVE e USAC per avermi dato l’opportunità di vivere un’esperienza irripetibile che mi ha riempito il cuore di momenti indimenticabili, arricchito l’anima di sensazioni uniche, dandomi la possibilità di conoscere persone speciali da tutto il mondo.
Dopo due anni bui e monotoni dovuti alla pandemia mi sono ricreduta. Come cita la frase che vedevo sempre scorrere dietro il finestrino dell’autobus sulla via verso l’università a Montevideo:
¡Ánimo compañeros, que la vida puede más!
Guarda l'intervista a Federica ed Edoardo